La costa apuana, all’estremo limite nord della Toscana, è limitata ad occidente dal mare Tirreno e, ad oriente, dopo un breve tratto di pianura, dalle Alpi Apuane, delle formazioni rocciose che contengono, al loro interno, un vero e proprio tesoro, le cave di marmo, la maggiore concentrazione delle quali è all’interno del territorio comunale di Carrara.
Il marmo, utilizzato per le sculture, in particolare il prezioso statuario, il Bianco P, Venato, Calacatta e molti altri è stato il motivo per la nascita stessa della città il cui nome di origine ligure apuana aveva già impresso al suo interno il suo e il nostro destino, Kar infatti significa pietra.
L’estrazione del marmo iniziata dai liguri apuani e poi proseguita dagli etruschi, venne resa un’attività para industriale, secondo i mezzi e le tecnologie dell’epoca, dai romani, i quali per sfruttare le cave, divise nei tre bacini estrattivi di Torano, Fantiscritti e Colonnata, costruirono il porto di Lunae, oggi Luni, alla foce del fiume Magra, distante una trentina di chilometri.
Estrarre il marmo, prima della scoperta della polvere pirica era un lavoro terribile.
Il materiale veniva letteralmente staccato dalla montagna con il sistema della “tagliata continua”: parallelamente alla parete esterna della montagna, veniva scavata a colpi di piccone e di scalpello, una trincea profonda alcuni metri, al fondo della quale venivano poi incastrati grandi cunei di legno, la cui dilatazione, determinata dalla bagnatura con l’acqua, causava il distacco di una parte della montagna. Il pezzo del marmo così ricavato veniva diviso in parallelepipedi detti blocchi, o più spesso lavorato direttamente in cava per ricavarne elementi architettonici, trabeazioni, fusti di colonna, capitelli, basi, che poi venivano trasferiti al porto di Lunae utilizzando grandi carri trainati da molte pariglie di buoi. Questo sistema di trasporto ebbe vita lunghissima, e venne utilizzato sino all’inizio del novecento, quando i carri trainati dai buoi furono sostituiti da una, per quei tempi, straordinaria meraviglia tecnologica: La ferrovia marmifera.
Tornando ai romani, l’estrazione del marmo nelle cave era fatta dagli schiavi, spesso criminali, condannati “ad cavas” o prigionieri di guerra a cui erano affidati i lavori più pesanti e pericolosi. Questi schiavi erano, probabilmente, affiancati da gruppi di artigiani liberi o da schiavi liberati che si tramandavano le conoscenze tecniche di padre in figlio, abitando nei piccoli villaggi intorno alle cave.
La presenza di questa lunga tradizione di lavoro forzato è testimoniata dai nomi dei tre bacini estrattivi e dei paesi di cavatori che sono latini, Torano, Colonnata, il nome del bacino di Fantiscritti, che in dialetto significa “uomini scolpiti”, deriva tradizionalmente da un’edicola marmorea che ritrae un imperatore romano Settimio Severo ed i sui due figli Geta e Caracalla, rappresentati sotto le sembianze di Giove, Mercurio ed Ercole, la Triade Capitolina degli dei romani a cui, probabilmente i cavatori di allora erano devoti.
Questa piccola effige è rimasta incassata in una delle pareti di roccia per oltre 1.500 anni, prima di essere trasferita nella sua attuale sede, il museo del marmo di Carrara, una delle mete da non perdere durante il vostro soggiorno presso l’Hotel Giulio Cesare del Cinquale.
La coltivazione delle cave s’interruppe intorno al sesto secolo D.C. e fu ripresa intorno all’anno mille, grazie all’impulso delle maestranze provenienti dalla Lombardia, noti con in nome generico di Maestri Comacini, i quali realizzarono anche il bellissimo duomo romanico di Carrara
ed il magnifico rosone che ne orna la facciata, utilizzando i fusti di colonna ed i capitelli che erano stati abbandonati sulle cave al momento dell’interruzione della coltivazione delle stesse. Da allora il marmo delle cave di Carrara fu usato nelle moltissime “fabbriche” dei grandi monumenti e delle chiese che furono realizzate in Italia nei secoli successivi.
La rivoluzione successiva venne con la scoperta della polvere pirica, che rivoluzionò le tecniche d’estrazione del marmo, un sistema, questo, che aveva un grande difetto: le vibrazioni causate dall’esplosione che fessuravano il materiale, rendendo buona parte del marmo estratto inutilizzabile.
I secoli successivi videro sulle cave la presenza dei maggiori scultori di ogni periodo, da Michelangelo, al Canova e anche Carrara seppe produrre grandi artisti autoctoni come il Tacca, Tenerani, Signori, le cui opere potranno essere ammirate nella vostra passeggiata nel centro storico di Carrara.
Negli ultimi 150 anni la lavorazione del marmo ha subito enormi trasformazioni tecnologiche, dal filo elicoidale ai carri di perforazione azionati in remoto con il GPS e, dove prima si muovevano file di diecine di buoi, ora si muove una pala meccanica che carica, in pochi minuti, blocchi di molte tonnellate, su camion da cava.
Tutto più facile, troppo facile.
Ed è qui che si apre l’annosa questione dello sfruttamento intensivo di una risorsa, quella del marmo, che ha limiti e che, una volta esaurita, non sarà in alcun modo sostituibile, ma questo è un discorso per un altro blog.